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Nel banchetto del Simposio di Platone arriva il turno di Aristofane, che sceglie di celebrare Eros non con argomentazioni mediche o giuridiche, ma con un grande racconto mitico.

Egli esordisce biasimando gli uomini: se davvero conoscessero il potere di Eros, lo colmerebbero di templi e sacrifici, perché nessun dio è più benevolo verso di noi, nessuno sa curare meglio le nostre sofferenze. Per dimostrarlo, Aristofane invita i convitati a tornare indietro, fino alle origini dei tempi quando natura umana era ben diversa dall’attuale.

Un tempo, egli narra, gli esseri umani erano creature globulari: un unico tronco dalla schiena circolare, due volti contrari poggiati su un collo cilindrico, quattro braccia, quattro gambe, due organi genitali. Esistevano tre sessi: maschio, femmina e androgino, l’unione perfetta dei primi due. Nati rispettivamente dal Sole, dalla Terra e dalla Luna, quegli esseri rotolavano con agilità terribile e, montando in superbia, tentarono di scalare il cielo.

Zeus dovette decidere se annientarli o contenerli. Optò per una punizione che salvaguardasse i sacrifici umani: tagliò ciascun essere in due, dimezzandone forza e tracotanza. Apollo richiuse i lembi, modellò il ventre, lasciò l’ombelico come cicatrice memoriale. Da allora ogni metà, sconvolta dalla nostalgia, cercò di ricongiungersi alla propria. Quando due frazioni si ritrovavano, si stringevano in un abbraccio inesausto, pronti a morire di fame pur di non separarsi.

Zeus ebbe pietà e trasferì i genitali sul davanti, permettendo l’unione sessuale: se due metà compatibili erano maschio e femmina, potevano generare figli e perpetuare la specie; se due maschi si incontravano, o due femmine, l’appagamento carnale donava almeno tregua al desiderio.

Da quel momento Eros divenne medico della divisione primordiale, guida che tenta di fare “di due uno solo”.

Aristofane descrive così le diverse inclinazioni erotiche: le metà del sesso maschile cercano maschi; quelle femminili, femmine; le metà dell’androgino si rivolgono al sesso opposto. Non c’è colpa in queste passioni: ognuna risponde alla naturale nostalgia della completezza perduta.

Se poi l’artigiano divino, Efesto, che offrisse agli amanti di fonderli in un’unica sostanza, perché non si separassero più né in vita né in morte, tutti, dice Aristofane, accetterebbero senza indugio, rivelando che l’autentico oggetto del desiderio non è la mera voluttà, ma il ritorno all’intero. Eros, dunque, non è semplice piacere: è potente nostalgia metafisica, impulso a ricomporre ciò che gli dèi hanno diviso.

Il racconto si chiude con un ammonimento. Se onoriamo gli dèi e seguiamo Eros, possiamo sperare che un giorno la nostra frattura sia sanata e torniamo alla beatitudine originaria; se invece neghiamo Eros, rischiamo di essere di nuovo spezzati, condannati a un’esistenza di solitudine.

Così, con ironia poetica e slancio teogonico, Aristofane trasforma Eros nel garante della nostra identità e nel custode della felicità umana.

Per una sintesi sull’argomento con il corredo di immagini prodotte in piena collaborazione tra me e l’intelligenza artificiale:
https://gamma.app/docs/Platone-Simposio–ug6pf7uunrhj825