La concezione del sogno nel mondo antico presenta sostanziali differenze rispetto a quella moderna: da Freud in poi, infatti, la visione onirica è considerata un’espressione significativa dell’attività psichica, indissolubilmente legata all’interiorità del singolo individuo che la produce; per i Greci, invece, essa è un’entità autonoma, che, dotata di vita propria, “visita” l’individuo provenendo dall’esterno. L’uomo antico non ha né fa un sogno (espressioni tipiche delle lingue moderne, che rivelano la funzione attiva del soggetto dormiente); l’uomo antico vede un sogno, nella convinzione che la visione non provenga dalla sua psiche, bensì da uno spazio fisico reale, esogeno rispetto all’individuo stesso.
Gettando dunque lo sguardo sul mondo greco e romano, si tenterà di indagarne l’ampio e articolato panorama onirico partendo da Omero, archetipo della letteratura occidentale, fino ad arrivare ad Artemidoro di Daldi (II sec. d.C.), autore di un’interessante Interpretazione dei sogni, che, almeno nel titolo, anticipa di molti secoli la fondamentale opera di Freud.
Può esistere un’ira giusta? Gli antichi pensavano di sì: l’ira è giusta quando è socialmente giustificata entro l’orizzonte morale in cui si è prodotta, ma quella stessa ira può diventare colpevole se viola le regole del codice di comportamento in cui la comunità si riconosce. La nebulosa collerica del mondo greco e romano ci si presenta dunque molto sfumata e richiede un approccio poliedrico.
Un dato ci appare particolarmente interessante: il testo inaugurale della cultura greca, o, per meglio dire, dell’intera cultura occidentale, cioè l’Iliade di Omero, si apre con la parola ira ed è proprio questo primato ad indurci ad approfondire le molteplici valenze non solo semantiche, ma anche sociali, culturali, antropologiche che a questa parola sottendono.
Dall’ira cantata nell’epica, passando attraverso l’ira rappresentata sulla scena tragica, approderemo all’ira indagata dalla filosofia, con particolare riferimento a Seneca che a questa passione ha dedicato un’intera opera.
La parola Utopia ha il raro privilegio di possedere una vera e propria carta d’identità con tanto di data, luogo di nascita e sicura paternità: essa nasce, infatti, in Inghilterra nel 1516 e il padre si chiama Thomas More. Tuttavia, se il termine è relativamente recente, non altrettanto si può dire del concetto che esso esprime: il modello immaginario di un governo o di una società ideali trova un ampio spettro di rappresentazioni già nei più antichi testi greci, nei quali erano stati elaborati progetti di mondi alternativi.
Gli antichi, dunque, pur non avendo coniato la parola, conoscevano bene il sentimento di cui l’utopia si alimenta, cioè il desiderio di fuga, realizzabile sia nello spazio che nel tempo.
Se esiste un desiderio di fuga, naturalmente esiste anche qualcosa da cui si intende fuggire: tenteremo allora di delineare i contorni di una realtà insoddisfacente, che si desidera abbandonare per abbracciare progetti oppositivi.
I toni con cui gli antichi costruirono i loro mondi utopici sono diversamente modulati: si va dalla struggente nostalgia della laudatio temporis acti all’aggressività della satira scanzonata e feroce, dalla gioiosa alacrità di una fervida fantasia mitopoietica alla pacata e malinconica disillusione di chi crea utopie svelandone subito l’inganno.
Nel mondo greco il termine οἶκος (óikos) rinvia a diverse aree specifiche di significato: alla casa come luogo di abitazione, alla casa come famiglia comprendente congiunti e schiavi, alla casa come proprietà nel senso di “insieme di beni”.
Tali accezioni, divergenti per noi, sono per i Greci semplicemente intrecciate. Tenteremo allora di cogliere il senso unitario di questa nozione, mettendo in luce la differenza rispetto alla moderna concezione di casa che ha fortemente depotenziato o perduto quell’aura di sacralità che l’óikos antico racchiude e custodisce, grazie al culto degli antenati e del focolare.
Un’avvertenza è necessaria: sappiamo relativamente poco sia della vita domestica sia di quella privata dei Greci. La documentazione letteraria, storiografica ed artistica esalta e pone in evidenza soprattutto il momento politico e militare. Nell’autorappresentazione che la città, specialmente democratica, vuole dare di se stessa prevale dunque la dimensione ufficiale.
Nell’esiguità delle fonti documentarie in materia di economia domestica, acquista allora un maggiore interesse un’opera come l’Economico di Senofonte, preziosa testimonianza della storia sociale ed economica della società ateniese tra il V e il IV sec. d.C.