Pochi passi della letteratura possiedono l’intensità emotiva dei versi che Omero dedica all’incontro tra Odisseo e il suo vecchio cane Argo, abbandonato, decrepito, simbolo vivente della rovina che i Proci hanno portato nella casa regnante di Itaca in assenza del suo legittimo sovrano. Nell’episodio di Argo si afferma un pathos così originale e un’interiorizzazione della sofferenza tanto personale da segnare una svolta nel sentimento privato e soggettivo all’interno dei poemi omerici.
Com’è noto, l’incontro avviene mentre Odisseo è in compagnia del fedele porcaro Eumeo, a cui l’eroe non ha ancora svelato la sua vera identità, preferendo per il momento celarsi sotto le mentite spoglie di un mendicante. Arrivato ad Itaca, Odisseo è cauto nel dichiarare apertamente chi egli sia: fino all’incontro con Argo, infatti, si è fatto riconoscere solo dal figlio Telemaco; poi successivamente avverranno le agnizioni da parte della nutrice Euriclea, del porcaro Eumeo, del bovaro Filezio, dei pretendenti, di Penelope e infine del padre Laerte. In ciascuna di queste scene di riconoscimento è lo stesso Odisseo a rivelarsi, offrendo le prove della sua vera identità, invece nell’incontro con Argo sarà soltanto la straordinaria sensibilità dell’animale a svelare l’inganno del travestimento.
Quando vede Odisseo, il vecchio cane scodinzola, solleva con le sue ultime forze la testa e le orecchie, strappando all’eroe una lacrima subito asciugata di nascosto per non farsi riconoscere da Eumeo. L’episodio ha una ben precisa funzione strutturale all’interno dell’Odissea in quanto mette drammaticamente in luce lo scempio di cui è stata oggetto la casa di Odisseo, giustificando la spietata vendetta dell’eroe con l’aiuto del figlio e dei servi rimasti fedeli. Tuttavia, al di là di questa funzione strutturale, l’episodio vive anche di una vita autonoma alla cui ondata emotiva è difficile sottrarsi specie per chi, come me, sente ancora pungente e dolorosa la ferita per la scomparsa di un cane molto amato.
Odisseo e Argo si limitano a guardarsi, ma l’intesa è perfetta e struggente, come tra persone che da lungo tempo si conoscono e si amano. Il loro incontro è fatto di sguardi e di silenzi: lo sguardo porta al riconoscimento e il silenzio ne è la sua risonanza emozionale, echeggiante nelle latitudini insondabili della memoria. Eroica appare la lotta di Argo contro la minacciosa rovina dell’oblio: quel cane, che ora giace nel letame, ha coltivato e mantenuto vivo per venti lunghi anni il ricordo interiore del suo padrone, che esso amava quando era ancora un cane da caccia pieno di energia e che ha continuato ad amare anche quando “è caduto in disgrazia”, come ci dice Omero. Argo ha perso la sua dignità esteriore, devastata dalle zecche e dalla sporcizia, calpestata da ancelle “negligenti”, senza memoria, che non si prendono cura di lui, ma gli stenti non sono riusciti a scardinare dal suo cuore la memoria del passato intesa come matrice di attese e di nostalgia, di ricordi e di speranze. Argo ha adeguato il ritmo esteriore della sua esistenza, protrattasi eccezionalmente per più di venti anni nonostante le tribolazioni, al ritmo interiore della sua memoria e solo quando il suo sguardo ha re-incontrato dal vivo Odisseo, l’amato padrone, il ritmo si è placato spegnendosi prima nel silenzio, poi nella morte, appagato da un ultimo afflato di gioia. Infatti anche quando la “nera morte” sopraggiunge, gli occhi di Argo non perdono la loro dolcezza, la loro tenerezza, anzi s’illuminano della gioia di avere rivisto un’ultima volta il volto di Odisseo, l’incarnazione di un pensiero mai spento, l’oggetto di un ventennale amore mai sopito, mai dimenticato.
Odisseo e Argo nel fugace attimo del loro incontro, nel fulgore dei loro occhi che s’incrociano, superano i confini dell’apparenza e compiono il miracolo di cogliere l’uno nell’altro la verità dell’essere: Odisseo non è il mendicante che proclama di essere, Argo non è il cane raccapricciante e maleodorante che sembra essere. Entrambi nel mistero silenzioso dei loro sguardi hanno recuperato la loro vera identità a lungo nascosta nella fatica di vivere, nel dolore della lontananza e nello struggimento della malinconia.
Al cane Argo, al mio indimenticabile Teo e a tutti i cani che donano alla nostra vita il bene prezioso dell’amore gratuito, dedico il video su YouTube con lettura metrica e traduzione del passo (Odissea, XVII, vv. 290-327):https://youtu.be/MknlJgmvyQM